Voglio andare a vivere in Scandinavia
Non è che voglio andare a vivere in Scandinavia per davvero, è solo un titolo provocatorio per raccontare una storia, una storia di uguaglianza di genere e di pari opportunità, una storia dove il tasso di occupazione è lo stesso tra donne senza figli e donne con figli. Ed è una storia vera.. Così lontana dalla nostra realtà.
Voglio andare a vivere in Scandinavia
Prima di parlare del mio progetto di andare a vivere in Scandinavia (che, peraltro, non credo si realizzerà mai) occorre fare un passo indietro. Anzi, molti passi indietro. Occorre partire da quella che è stata la rivoluzione sociale, che ha visto partecipare migliaia di donne per la rivendicazione dei propri diritti. Ed è stato ottenuto molto da quei moti, tante cose che oggi ci sembrano scontate, un tempo non lo erano, come poter esprimere un proprio libero pensiero, poter lavorare, essere considerate a tutti gli effetti di Legge genitori dei nostri figli, essere libere di divorziare per non parlare degli aspetti più semplici come guidare la macchina o indossare un paio di pantaloni. Ti viene da ridere, eh? Eppure non tanto tempo fa, alla fine degli anni 60, una donna era presa di mira dalla stessa Polizia anche soltanto per un paio di pantaloni o un taglio di capelli troppo corto.
Quindi, rispetto a 100 anni fa è stato ottenuto molto, noi donne di oggi abbiamo molti più diritti e molta più libertà rispetto alle nostre nonne o bisnonne. Questa rivoluzione però, a un certo punto, è rimasta mozza, incompleta, non è andata avanti. E ce ne accorgiamo, purtroppo, non solo leggendo sui giornali i violenti fatti di cronaca che vedono vittime tante, troppe donne (vittime della mentalità maschilista della società, prima che di quella dei pazzi furiosi con cui purtroppo le loro vite si sono incrociate) ma anche da tanti episodi quotidiani, più o meno gravi, che mettono le donne in condizione di non realizzare la propria personalità e, oserei dire, neanche la loro identità di donne e di esseri umani. Perché? Cosa è successo?
Prima di tutto per colpa degli uomini. Sono ancora tanti, troppi, gli uomini che non hanno cambiato la loro mentalità arcaica e che vedono la donna ancora come la casalinga disperata dedita alla cura prima dei figli e poi degli anziani genitori (magari neanche genitori di lei, ma genitori di lui) oltre che alle faccende domestiche. Mentre lui, l’uomo, il procacciatore di reddito, poverino torna a casa stanco e allora no, non glielo puoi proprio chiedere di mettersi il grembiulino per rigovernare o di sporcarsi le manine di cacca per pulire il sederino di suo figlio… Purtroppo sono ancora tanti gli uomini che la pensano così.
Ovviamente, non mio marito… Altrimenti non sarebbe più mio marito. Mio marito fa parte di quella piccola percentuale di uomini che hanno cambiato quella schifosa mentalità arcaica, complice anche il livello sociale e, soprattutto, culturale di cui io e mio marito facciamo parte. Infatti, uno dei fattori che concorre allo sviluppo di questo processo è proprio il livello culturale delle persone.
Ma, procediamo per gradi… Dicevo che la colpa di questa rivoluzione incompleta è da attribuire in prima istanza agli uomini ma, in secondo luogo anche ad altri fattori. Innanzi tutto, non è stata uguale in tutti i Paesi del mondo e qui arriviamo con calma al caso della Scandinavia. Inutile dire che noi in Italia, da un punto di vista di uguaglianza di genere e di pari opportunità siamo messi malissimo ma altrettanto malissimo è messo un Paese come la Germania, che noi vediamo tanto ricca, non solo di denaro ma anche di offerta di lavoro, dove tante famiglie e giovani anche italiani si sono traferiti in cerca di opportunità migliori… Ebbene… la Germania ci ha deluso da questo punto di vista. Come ci hanno deluso gli Stati Uniti, che sono messi meglio di noi, della Spagna (nostra cugina sotto tanti punti di vista e, purtroppo, anche in questo) e della Germania ma sono messi molto, molto peggio della Scandinavia.
La Scandinavia… Ma cos’ha di speciale questa Scandinavia? Con calma, ci arriviamo per gradi.
Quindi, la responsabilità è da attribuire agli uomini, alla demografia ma anche, come dicevo, al livello culturale! Questo è un po’ il nodo centrale della questione. La vera colpa della rivoluzione incompleta sta proprio qui. Mentre l’uguaglianza di genere ha fatto molta strada tra i ceti sociali più ricchi e istruiti, tra la popolazione meno istruita questo cambiamento non è avvenuto o è avvenuto in minima parte. Sono ancora troppe le famiglie in cui l’uomo lavora mentre la donna è casalinga. E non è che ce l’abbia con le casalinghe, Il problema è che spesso non è una loro libera scelta ma si sentono obbligate dal marito, dalla famiglia, dalla mentalità di cui sono vittime. Ciò accade più frequentemente fra i ceti meno istruiti della popolazione. Questo perché una donna istruita difficilmente rinuncerà alla propria realizzazione professionale per passare le giornate a pulire casa o accudire gli anziani.
Paradossalmente, l’emancipazione femminile rischia di diventare un nuovo fattore di disuguaglianza sociale tra ceti istruiti (ricchi) e ceti poco istruiti (poveri) andando a vanificare tutte le lotte combattute in passato ma anche adesso da tante donne.
Peraltro, anche il lavoro domestico è cambiato. Adesso, anche se aiutato dalla tecnologia, è più gravoso per una donna perché i nuclei familiari sono molto più ristretti rispetto al passato. Mentre prima una donna poteva contare sull’aiuto delle sorelle, della mamma, della nonna, della zia, della cugina, della biscugina e della prozia di quarto grado, adesso la donna è sola a farsi carico di tutte le incombenze domestiche e familiari.
Ma torniamo a noi. Parlavamo della Scandinavia.
Cari uomini, cara società, caro Stato, cara comunità, cari figli, cari anziani, e anche care donne… Il fatto è che rendere le donne libere di esprimersi e realizzarsi anche professionalmente va a vantaggio non solo di loro stesse ma anche di tutti. Una donna che può in tutto e per tutto dedicarsi professionalmente a ciò che vuole, libera dai pregiudizi, libera dagli impegni familiari e, quindi, aiutata non solo dalla famiglia ma anche dallo Stato e dalla società, è in grado di offrire un alto valore alla comunità. Una società senza queste menti brillanti e queste mani creative è una società perdente. Ci perde, ci rimette!
Pensateci quando adottate politiche sociali che discriminano una donna in età fertile, permettendo a tanti datori di lavoro di pagarla meno rispetto a un uomo sulla base del fatto che tanto si dovrà assentare spesso dal lavoro per accudire i figli oppure quando rendete più vantaggioso per una famiglia tenere una donna a casa ad accudire bambini e anziani piuttosto che aiutare quella stessa famiglia con servizi che sollevino la donna da questo peso per potersi realizzare personalmente.
Sto parlando in termini utopistici? Sì forse sì. Qui in Italia per ora sì (ma ripeto, anche nella tanto ricca Germania e nei tanto meritocratici Stati Uniti) ma in Scandinavia tutto questo è già realtà.
Partiamo da un dato molto interessante. Mentre nella maggior parte dei Paesi del mondo la natalità è molto più alta tra i ceti più poveri e meno istruiti della popolazione… In Scandinavia accade esattamente l’opposto: la fertilità più alta si registra tra le donne con formazione addirittura universitaria. Curioso eh?
Si ma che succede in Scandinavia? Io conoscevo il passo dell’Amleto “C’è del marcio in Danimarca!” ma bisogna riformularlo: “C’è la manna in Scandinavia!”. Tra l’altro ho già parlato dell’innovativo metodo danese, riguardante l’educazione dei bambini. Cioè… Altro che voglio andare a vivere in Scandinavia!
Innanzi tutto è proprio una mentalità diversa, in cui quel principio di cui parlavo, della società che, senza le donne è la prima a rimetterci, è molto ben radicato nel pensiero delle persone tra cui gli uomini. In secondo luogo, ma non meno importante, anzi direi basilare, c’è un grande sostegno alle madri da parte dello Stato. Ci sono servizi di assistenza all’infanzia e assegni familiari già a partire dal primo figlio oltre che congedi di maternità e paternità ben più lunghi che da noi.
Soffermiamoci un attimo sul congedo di paternità, che ha un valore ben più ampio di quello che conosciamo, ovvero riguardante il sacrosanto diritto, anche per un padre, di accudire il proprio figlio. Sapere che il proprio figlio è a casa con il babbo anziché con una babysitter poco più che sconosciuta, mette la mamma in una condizione di maggior serenità anche per svolgere il proprio lavoro.
In Italia, il congedo di maternità classico dura 4 mesi… Il che vuol dire che una donna poi può scegliere se non tornare a lavoro e cuccarsi un misero 30% dello stipendio fino al 1° anno di vita del bambino oppure smettere proprio di lavorare perché potersi permettere una babysitter con il 30% dello stipendio le rimane assai difficile.
Lo so a cosa state pensando… How much?? Cioè che costo ha tutto ciò? Altissimo, ovviamente… Si parla di 8000 dollari A BAMBINO in Danimarca e di 6000 dollari in Svezia (questo sempre per il livello di eccellenza che la Danimarca vanta, come dicevo, per quanto riguarda il sistema educativo dei bambini).
E’ vero che è costoso ma… è un investimento, per due ragioni:
1.Migliorerebbe tantissimo il livello di istruzione per i bambini a partire dalla scuola dell’infanzia e, anzi, dall’asilo nido e ciò significa che si andrebbe a formare adulti più preparati, più istruiti, più empatici (come succede in Danimarca) ci sarebbe meno delinquenza, si affronterebbero costi minori per il recupero di questi soggetti, meno problemi sociali, più tranquillità, serenità, e via e via…
2.Con meno soggetti che lavorano, le donne in questo caso, ci sono meno persone che pagano le tasse. Senza considerare che con questi scarsi servizi di assistenza all’infanzia, si mettono al mondo meno figli e, in futuro, ci saranno più anziani e grandi anziani che bambini. Come pensate di mantenerlo questo esercito di anziani se non ci sono braccia che lavorano, pagano le tasse e, soprattutto, i contributi? Ah, per non parlare del fatto che se una donna non lavora non paga nemmeno i contributi per la propria pensione…
La cosa straordinaria è che, nonostante il costo elevatissimo che questi servizi comportano per le Casse dello Stato, una mamma danese, alla fine della sua carriera, finisce per ripagare abbondantemente, attraverso le tasse, tutto il sussidio ricevuto.
Mi sono soffermata a parlare dei bambini, ma i servizi, in Scandinavia, riguardano anche l’assistenza agli anziani.
Il mio trasferimento in Scandinavia è rimandato, sperando che le cose possano cambiare anche qui in Italia. Non esistono solo grandi uomini italiani, esistono anche grandi donne, spero che il nostro Paese possa accorgersene presto.
Magari in Scandinavia ci andrò un giorno ma solo da turista.
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Bea
Fonti:
Anna Valente, Annì Barazzetti, Baba Serini e molte altre: “Sessantottine”, Motivé ed. , 2018
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