
Le leggi naturali del bambino. Parte prima: l’intelligenza del bimbo.
Come ti avevo già anticipato nel precedente articolo dedicato alla presentazione del libro di Céline Alvarez “Le leggi naturali del bambino”, Mondadori, Milano 2017, non ce la faccio a recensire il testo in un solo articolo, data la sua importanza, ma dovrò suddividerne la descrizione in due post, il primo relativo alla sfera intellettiva del bambino e l’altro relativo al ruolo e all’importanza dell’adulto per lo sviluppo intellettivo del piccolo, altrimenti rischierei di annoiarti con un articolo veramente troppo lungo…
Le leggi naturali del bambino. Parte prima: l’intelligenza del bimbo
Ricominciamo dall’inizio e poniamoci questa domanda: E SE INIZIASSIMO A RIPENSARE ALLA SCUOLA A PARTIRE DALLE LEGGI NATURALI DELL’APPRENDIMENTO? (Il libro inizia proprio così…)
Céline, nel libro fa riferimento a ciò che succede in Francia, il suo Paese, ma la situazione non è diversa qui in Italia, anzi, forse per certi aspetti è pure peggio. Ogni anno in Francia migliaia di studenti escono dalla scuola elementare con gravi lacune, a causa del fatto che il Sistema Educativo non prende in considerazione i meccanismi naturali dell’apprendimento umano, per cui da una parte i bambini fanno fatica e perdono fiducia in se stessi e dall’altra gli insegnanti faticano a loro volta a seguirli: è come se gli insegnanti guidassero un’auto col freno a mano tirato. Allo stesso tempo, noi freniamo le straordinarie capacità di apprendimento dei bambini, attraverso metodi inadatti, e quindi loro apprendono con difficoltà.
Le leggi naturali dell’apprendimento e dello sviluppo esigono che il bambino realizzi esperienze motivanti e si avvalga di una vita sociale ricca. Il nostro sistema impone le proprie leggi calpestando quelle del bambino. Soprattutto, si tarano le potenzialità di sviluppo sul livello minimo, credendo che questo minimo sia la norma, senza sapere che invece le potenzialità dei bambini sono molto più grandi di quel che pensiamo.
Lo sviluppo delle potenzialità (innate) del bambino sarà condizionato dall’ambiente che lo circonda. Quindi è l’ambiente, molto più dei geni, a influenzare lo sviluppo delle potenzialità del bambino. L’ambiente è in grado di far emergere le potenzialità del bambino. La formazione dell’intelligenza è fortemente condizionata dall’ambiente in cui viviamo:
- ambiente familiare
- ambiente scolastico
Pensa che da 0 a 5 anni di età si creano da 700 a 1000 nuove connessioni neurali al secondo: queste connessioni sono le fondamenta dell’intelligenza. E’ il periodo in cui il bambino manifesta una grande passione per l’esplorazione. E’ fondamentale che noi adulti non ostacoliamo questa loro scoperta del mondo, con frasi del tipo: “non toccare”, “stai fermo”, … Così facendo blocchiamo la sua intelligenza che è in via di formazione. Si devono sviluppare miliardi di connessioni neurali! In questa fase al bambino basta vivere ed esplorare liberamente il mondo per imparare a una velocità incredibile. Il bambino apprende senza rendersi conto. Dopo i 5 anni di età la plasticità cerebrale diminuisce drasticamente.
Ma le connessioni neurali non permangono tutte, infatti dopo i 5 anni di età le connessioni sinaptiche passano da 1 milione di miliardi a 300mila miliardi: quelle relative a esperienze meno ripetute saranno eliminate mentre quelle ripetute con maggior frequenza si rafforzeranno: si parla di SFOLTIMENTO SINAPTICO. E’ un processo continuo di creazione, rafforzamento ed eliminazione delle connessioni sinaptiche a seconda delle esperienze più frequenti. Le connessioni sinaptiche di riducono drasticamente dopo i primissimi anni di vita (da 1.000.000 miliardi a 300.000 miliardi!!). Perché il cervello fa piazza pulita di tutto ciò che non gli serve. Si specializza nella sua cultura, la sua lingua, il suo pensiero, nei suoi comportamenti sociali.
I 2 anni di età sono il periodo critico: prima dei 2 anni il cervello è fortemente plastico, dopo i 2 anni il cervello ha già posto delle basi ed è difficile rimodellarlo. Ovviamente, il cervello evolve continuamente, creando sempre nuove connessioni sinaptiche quindi non è mai troppo tardi, però dopo i 2 anni risulta più difficile.
Come dicevo prima, nel suo processo di sviluppo, il bambino è dominato da un impulso: la CURIOSITÀ. Animato dal voler sapere, sfida il pericolo e i divieti. La natura incita il bambino a imparare. In che modo? Rendendolo curioso. Più il bambino è curioso ed entusiasta per ciò che sta imparando, più dobbiamo spronarlo perché quello è il momento in cui impara di più. Più c’è curiosità, più la memoria è attiva e più aumentano le prestazioni di apprendimento.
Come può imparare il bambino? Per imparare occorre essere attivi e percepire il nostro errore per poter così aggiustare le nostre conoscenze. Si impara dalle proprie esperienze non da quelle degli altri. Si impara facendo, non ascoltando. Serve comunque la guida dell’adulto, il bambino non può scoprire da sé. La guida indica gli elementi essenziali da considerare per poter evolvere. L’adulto è programmato per natura ad avere un atteggiamento pedagogico. E il piccolo accoglie istintivamente questo atteggiamento pedagogico dell’adulto, pronto a recepire ciò che l’adulto vuole insegnargli. Senza l’atteggiamento pedagogico naturale da parte dell’adulto, la capacità di apprendimento del bambino è nulla. Grazie allo sguardo, la voce, l’indicazione, il bambino riesce a far tesoro delle informazioni che servono per il suo apprendimento. L’interazione tra adulto e bambino funziona solo se è INDIVIDUALE.
Il bambino ha bisogno dell’interazione con l’adulto. Per aiutarlo in questo processo, basta seguire la nostra tendenza naturale: soffermiamoci a parlare con lui e a stupirci ogni volta che vede qualcosa che lo stupisce. Rispondiamo alle sue domande e lasciamogli il tempo di esprimersi. Arricchiamo di volta in volta il suo lessico, proponendogli parole nuove e sempre più difficili (questo lo possiamo fare anche leggendogli dei libri).
Il sostegno dell’adulto è importante ma non deve essere troppo esplicito, deve lasciar spazio alla scoperta. Dobbiamo offrirgli le chiavi ma lasciare che sia lui ad aprire le porte. Si tratta di mostrare come si fa e lasciare che poi sia lui a farlo da solo, senza interromperlo con il nostro aiuto.
Importante è anche l’interazioni tra bambini di età diverse. I bambini di età diverse adottano spontaneamente questo atteggiamento pedagogico tra di loro. I benefici li possiamo vedere anche tra fratelli. Perché i più grandi hanno un modo di insegnare INFORMALE. Allo stesso tempo, i piccoli sono affascinati dai grandi e vogliono imparare da loro. I più grandi, al contempo, consolidano le proprie conoscenze condividendole con i più piccoli. Le conoscenze si rafforzano. Imparano inoltre a essere chiari, flessibili, pazienti ed empatici. Adottano così delle competenze cognitive fondamentali per la propria crescita: autocontrollo, memoria, pianificazione, flessibilità cognitiva. Ecco perché è importante che età diverse si incontrino anche e soprattutto in classe. Nelle classi suddivise per anno di nascita questo fenomeno di aiuto reciproco tra bambini non si manifesta.
Imparare e insegnare da/a individui più giovani e più vecchi è una delle leggi naturali dell’essere umano.
Per imparare, bisogna essere interessati all’attività che richiede il nostro impegno. La motivazione deve essere endogena, cioè provenire dall’individuo stesso. E’ la motivazione che ci spinge ad imparare senza farci rendere conto del tempo che passa.
C’è un altro tipo di motivazione, quella esogena, finalizzata a imparare per il raggiungimento di qualcosa (ad esempio un bel voto) ma quella si esaurisce in breve tempo.
E’ importantissimo il modo in cui le materie vengono presentate ai bambini. Una volta imparate le nozioni di base di ciascuna materia, il bambino dovrebbe essere lasciato libero di dedicarsi a quelle che gli piacciono di più, per sviluppare la propria individualità e la propria personalità.
Importantissimo, come dicevo prima, è l’ambiente che deve essere un ambiente naturale, vivo e dinamico. Far vivere al bambino il mondo così com’è, a contatto con la natura. I bambini hanno bisogno del contatto con la natura, hanno bisogno di vivere la natura. Il cervello umano non può capire ciò che non vive.
Quindi l’ambiente deve essere ricco ma non sovraccarico di attività. I momenti di riposo sono fondamentali per il buon funzionamento cerebrale quanto lo è il sonno. L’essenziale della riorganizzazione cerebrale (sviluppo e rafforzamento delle connessioni neurali più frequenti, sfoltimento sinaptico) avviene durante il sonno. Il cervello fa la selezione mentre il bambino riposa. Il sonno è necessario per riorganizzare tutte le informazioni raccolte. Ecco perché i più piccoli dormono tanto. Quando “crollano dal sonno” significa che non possono più tollerare altre informazioni nella loro scatola cranica e hanno bisogno di riposo per permettere al cervello di fare un po’ di spazio. Il bisogno di sonno deve essere rispettato, a qualsiasi ora. E’ importante anche andare a letto presto.
Dell’importanza dei momenti di riposo per il bambino ce ne ha parlato anche la dott.ssa Manuela Trinci in quest’intervista.
L’ESPERIMENTO DI GENNEVILLIERS
Céline ha condotto il suo esperimento in una scuola dell’infanzia alla periferia di Parigi, esattamente a Gennevilliers, un quartiere periferico e problematico. La sperimentazione partì con 25 bambini di 3 e 4 anni di età (età diverse in una’unica classe). Aveva a disposizione il materiale didattico elaborato da Eduoard Séguin e da Maria Montessori. I bambini potevano svolgere attività individuali o di gruppo e svolgerle fin tanto che ne avevano voglia. Erano autonomi.
Alla fine dei tre anni di sperimentazione, Céline dette le dimissioni (nel Luglio 2014) perché il Ministero le ritirò il progetto senza aver mai regolarizzato la situazione amministrativa della sperimentazione. Céline pubblicò in un blog alcuni video del suo lavoro e i contenuti teorici di cui si era avvalsa. Molti insegnanti la seguono e applicano il suo metodo, notando risultati straordinari. L’obiettivo del blog è quello di creare un contatto tra gli insegnanti di scuola materna e primaria, ma anche di scuola media e superiore, che adottano un approccio pedagogico rispettoso delle leggi naturali del bambino, favorendo quindi l’autonomia, l’amorevolezza e la compresenza di età diverse.
UNA GIORNATA TIPO
I bambini venivano accolti calorosamente e con grande affetto, ogni bambino veniva salutato singolarmente e gli veniva chiesto come stava, per capire il suo stato di umore e il suo livello di stanchezza. Poi a ognuno veniva chiesta l’attività che desiderava svolgere per prima. Veniva lasciato il tempo ai bambini più stanchi di riposarsi un po’.
Venivano segnate su un tabellone le attività scelte da ogni bambino. Céline annotava il livello raggiunto da ogni bambino, senza che questo se ne accorgesse: serviva a lei per capire se poteva passare al livello successivo oppure no. Si complimentava nel vedere i progressi e li incoraggiava a fare cose più difficili. Rassicurava chi si sentiva scoraggiato.
I bambini avevano piena libertà di movimento purché fatto con calma e ordine. La libertà del corpo è fondamentale per lo sviluppo del cervello. I bambini erano liberi di fare ciò che volevano o meglio di valutare ciò che facevano: erano cioè guidati verso l’autonomia e l’emancipazione.
Erano aiutati a sfamare le proprie passioni e i propri interessi in maniera naturale e con entusiasmo. Ognuno si sentiva al suo posto, nella sua natura e ciò non generava confusione ma anzi armonia. Ognuno trovava il suo posto nel gruppo, mettendoci il suo tocco personale. C’era un obiettivo comune della classe e ognuno svolgeva le proprie attività con la regola di non disturbare l’attività altrui.
Se un bambino era particolarmente immerso nella sua attività, non lo distoglievano perché sicuramente in lui in quel momento si stava creando qualcosa di importante a livello intellettivo.
Poi c’era il momento in cui si riunivano tutti e si complimentavano e davano fiducia l’un l’altro.
Dopo la mensa, i bambini potevano andare a dormire (necessità che era rispettata, comunque, in ogni momento della giornata). I bimbi che non volevano riposare, potevano continuare a svolgere la loro attività oppure Céline gliene presentava altre. Quando tutti i bimbi erano tornati dal riposino, andavano in cortile a giocare.
Con questo metodo di sviluppo dell’individualità del bambino, non si genera competizione e attrito tra i bambini perché ognuno è ciò che è e arriva fin dove può. Si crea un rapporto molto altruista ed empatico tra bambini.
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