
Aborto spontaneo e personale medico impreparato.
L’Aborto spontaneo è un’esperienza dolorosissima per una donna. Se a questo poi si aggiungono l’insensibilità e la scarsa preparazione del personale medico, l’esperienza da dolorosa diventa traumatica. Ce ne parla Chiara del blog Punto e Virgola Mamma, che purtroppo questa esperienza l’ha vissuta sulla sua pelle..
Aborto spontaneo e personale medico impreparato.
Cara Bea,
ti scrivo perché ormai ci conosciamo virtualmente da tanto tempo e mi fido molto di te e dei tuoi consigli.
Quest’anno ho dovuto affrontare un’esperienza dolorosa, ovvero un aborto spontaneo a sei settimane di gravidanza. Ho desiderato un secondo figlio per tanto tempo, ma per tanti motivi avevo sempre rimandato. Quando ho scoperto di essere di nuovo incinta ero molto felice, ma purtroppo la mia felicità si è spenta dopo poco tempo.
Al di là del grande dolore che porta un aborto spontaneo, vorrei parlarti della mia esperienza con medici e ostetriche negli ospedali e non solo. Questo perché penso seriamente che se avessi avuto la fortuna di incontrare delle persone buone in quel momento così brutto, non sarei certo rimasta traumatizzata come invece sono ancora oggi.
Affrontare un aborto spontaneo non è per niente semplice, né fisicamente né psicologicamente. Dal giorno in cui sono finita al pronto soccorso con le perdite di sangue al giorno del raschiamento è passato un mese esatto e tutta questa attesa ha generato in me un dolore ancora più grande, accompagnato da un trattamento talmente poco sensibile da essermi rimasto dentro.
Ti racconto brevemente qualche avvenimento di quel mese, giusto per farti capire che a mio parere il personale medico non è affatto preparato nel modo corretto per affrontare un aborto spontaneo.
Il giorno in cui sono finita in pronto soccorso per via delle perdite di sangue mi hanno lasciata 5 ore su una barella ad attendere l’unico medico presente in reparto (occupato in sala operatoria) nel reparto maternità, in mezzo a tutte quelle donne che avevano partorito e stringevano tra le braccia i loro bambini. Cinque ore in quelle condizioni sono lunghissime, soprattutto perché non sapevo ancora se l’aborto era avvenuto oppure si trattava solo di una minaccia. La cosa assurda è che non lo sapeva neppure il medico, perché a sei settimane spesso è troppo presto per vedere il feto.
Ho fatto due settimane di cura con progesterone come se si trattasse solo di una minaccia d’aborto, ma ad ogni controllo il medico non ricordava nulla di quello che aveva visto la volta prima e nelle immagini dell’ecografia non aveva scritto le cose giuste.
Sono dovuta andare da un medico privato per farmi dire che l’aborto era avvenuto e che era inutile continuare la cura.
Peccato che lo stesso medico privato, quando mi ha dato l’appuntamento nell’ospedale in cui lavora per vedere se era il caso di fare il raschiamento, non si è presentato. O meglio, era in ospedale ma ha dimenticato il mio appuntamento e si è altamente fatto i fatti suoi per poi entrare in sala operatoria per un intervento. La sua spiegazione è stata che se non si era presentato all’appuntamento era colpa mia che non glielo avevo ricordato su Whatsapp. Come se fosse normale ricordare ai medici gli appuntamenti con messaggini.
Quella mattina sono stata cinque ore in ospedale perché lui non si era presentato e nessun altro voleva visitarmi.
Nei giorni successivi sono stata in ospedale per un day hospital per fare un aborto farmacologico che non ha funzionato. L’infermiera che mi ha fatto gli esami del sangue mi ha trattata come una donna orribile perché era convinta che il mio aborto fosse volontario e non spontaneo. Che anche fosse stato volontario non avrebbe mai dovuto trattarmi in quel modo. Mi hanno dato una nuova cura a casa per indurre le contrazioni ma non ha nuovamente funzionato.
All’ultimo controllo ero esausta e terrorizzata. La dottoressa di turno mi ha detto che probabilmente per il raschiamento avrei dovuto aspettare dopo il ponte del 25 aprile ma mi sono imposta e finalmente sono riuscita a farmelo fare il giorno stesso.
Ti ho scritto questa lettera raccontandoti la mia esperienza perché trovo davvero assurdo che il personale medico sia preparato solo per il problema fisico. L’aborto spontaneo è un problema anche psicologico, un dolore davvero grande e difficile da gestire. Medici e ostetriche dovrebbero far sentire le donne al sicuro, chiedere loro come si sentono, dare loro un sostegno psicologico. So bene che non tutti i medici e le ostetriche sono così, ma la mia esperienza mi ha fatto capire che ci vuole una preparazione molto più grande per affrontare questo problema anche dal punto di vista psicologico.
Mi sono sentita sola, spaventata e non capita. Nessuno mi ha mai chiesto cosa stavo provando e nessuno se ne è mai preoccupato. Per me è stato un trauma davvero grande.
E penso davvero che le donne che devono affrontare un aborto spontaneo abbiano il diritto di ricevere tutto il sostegno psicologico di cui hanno bisogno. Parlarne è importante.
Tu cosa ne pensi? Grazie per avermi ascoltata.
Cara Chiara,
penso che l’esperienza che hai vissuto sia allucinante… Hai vissuto un calvario: una carenza di sensibilità dietro l’altra per non parlare dei vari errori che sono stati commessi. Non commentabili il dottore che ti ha addossato la colpa perché non gli avevi ricordato l’appuntamento su Whatsapp e l’infermiera “della Santa Inquisizione” …
Giustamente Tu hai detto che l’infermiera, anche qualora il tuo fosse stato un aborto spontaneo, non si sarebbe mai dovuta permettere di trattarti in quel modo. Infatti, ritengo che anche una donna che decida di abortire volontariamente debba avere tutto il supporto psicologico di cui ha bisogno, perché non credo che quella donna prenda una decisione del genere a cuor leggero e non si possono sapere i motivi per cui è arrivata a prendere tale decisione. Credo che sia un’esperienza dolorosa in ogni caso. Nel tuo caso specifico a maggior ragione…
Sì, Chiara, sono d’accordo con te nel dire che questo personale medico che hai avuto la sfortuna di incontrare ha sbagliato, nelle procedure e nei modi. Ovviamente, ci sono anche medici, ostetriche e infermieri diversi, più sensibili e umani. Spero che questa tua lettera possa servire anche per sensibilizzare le persone che svolgono questo lavoro ad avere maggiore cura delle pazienti che hanno vissuto un’esperienza dolorosa come la tua.
Ti abbraccio forte…
Bea
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